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LA FABBRICA DEGLI STEREOTIPI

LA FABBRICA DEGLI STEREOTIPI

L’avvento di internet e del digitale ci ha reso “tutti fotografi” ha permesso a tanti che prima di questa rivoluzione non sarebbero stati presi in considerazione, di sentirsi fotografi, autori di un numero inimmaginabile di immagini fruibili ovunque, una produzione inconsapevole e senza senso.
Si fotografa senza più studiare, c’è la proliferazione di una fotografia istintiva che è una sorta di analfabetismo diffuso. Impossibile scrivere bene se non conosci la grammatica!
Tutti convinti di essere creativi e fare foto speciali: nel web, nei social, nei contest, c’è sempre qualcuno che prende gli scatti delle sue vacanze troppo sul serio. Solo in una parte molto ridotta della fotografia che si vede oggi sul web si legge un progetto fotografico, un qualcosa che vale la pena di essere raccontato. Il più delle volte sembra di leggere soltanto una sorta di egocentrismo del fotografo: ho fatto una bella foto, quindi sono un bravo fotografo.
Ciò che manca oggi non è la tecnica, anzi di tecnica c’è né anche troppa, manca quanto fa della fotografia un sentimento, un valore, una necessità: il fatto di continuare a scattare senza farsi alcuna domanda non ha più niente a che vedere con la nascita e l’evoluzione della fotografia, quella fatta di luce, tempo, documento, racconto e volontà.
La quantità di immagini esistenti al giorno d’oggi è incalcolabile e la sua crescita, a causa della facilità con cui oggi ognuno di noi può scattare fotografie, è esponenziale: ma quante di queste immagini sono rilevanti? Poche!Una successione di scatti tutti, o quasi, concepiti e realizzati attraverso gli stessi identici stilemi, ormai diventati degli stereotipi talmente invasivi da risultare immediatamente riconoscibili e soffocanti. Colori gravidi e densissimi, forti contrasti, inquadrature fotocopia: parrebbe che la fotografia, soprattutto quella concepita per partecipare ai contest internazionali, non sia il prodotto di un pensiero, di uno sguardo, di un racconto, del desiderio di un autore di mettere a fuoco una storia e le vicende di esseri umani, ma semplicemente un’attività basata sulla elaborazione di immagini fondate su un concetto creativo performativo ed effettistico, dunque totalmente superficiale.
Il nostro immaginario è ormai saturo di inquadrature e soggetti che per questo diventano modelli per le nostre fotografie: è l’occhio che si abitua a certi tipi di composizione, e così, inconsapevolmente, produciamo immagini ripetitive, simili tra loro, immagini noiose.La verità è che parole come creatività, individualità, talento e originalità non si applicano facilmente in un mondo dove chiunque scatta fotografie. La fotografia ha un senso quando trova soggetti davvero originali, quando è la narrazione del mondo, la vera arte della fotocamera sta nello svelare qualcosa di nuovo, di personale, di rivelatorio.
Narrare rappresenta l’unico modo che l’essere umano possiede per far conoscere un accaduto e la via attraverso cui dare forma alla propria identità.
La narrazione non è mai il riportare fedele della realtà, in quanto la percezione di quest’ultima è soggetta all’interpretazione dell’osservatore. Ciò che è nella mia realtà è una selezione interpretativa della realtà. Non esiste una realtà universale ed un unico modo di percepirla; la realtà è relativa alla percezione che ognuno ha di essa e il suo significato è strettamente personale, sociale e culturale. Narrare rappresenta, quindi, un’operazione di consapevolezza in quanto equivale a costruire una propria visione di se stessi e del mondo: sono io come narratore che, nel momento in cui racconto qualcosa, opero una selezione, un’organizzazione del materiale disponibile.
La maggior parte dei fotoamatori pensa che la propria missione consista nel fotografare dei soggetti, ma quelli stanno lì, basta passare e fare clic. La fotografia è ben altro, è scoprire il lato oscuro del mondo, dare rappresentabilità alle emozioni, espandere l’immaginario e il sogno, e per far questo non occorre poi tanta tecnica, occorre soprattutto lavorare su se stessi, esercitarsi a pensare. Scegliere soggetto e momento, determinare consapevolmente l’emozione che l’immagine può trasmettere, dare significato alle cose. Questo è uno dei possibili approcci creativi alla fotografia, dell’uso di uno apparecchio fotografico che vada oltre alla piana documentazione. In questo modo la fotografia va ben oltre all’esercizio puramente tecnico, si propone come mezzo per penetrare al fondo delle cose, per enucleare quanto sfugge alla visione, per creare magiche sintesi del mondo. Per giungere a questa narrazione, processo attivo di produzione di senso, dobbiamo muoverci da quelle singole immagini che di per sé hanno memoria di suoni, voci, odori per avvicinarsi all’insieme delle fotografie, alla loro disposizione che genera racconti, nessi logici ed emotivi, ad un editing corretto sia nella scelta che nella sequenza che crea il movimento drammatico e narrativo.La morale è: se proprio volete scattare delle grandiose foto, non andate in crociera. Andate piuttosto in zone di guerra, o nell’appartamento dei vostri genitori.

Le fotografie:
Learning From the Nomads
Ladakh – India
© Ronald Patrick
Queste immagini si impongono subito per il loro essere “diverse” in quanto molto lontane da ciò che lo stereotipo turistico del Ladakh di norma propone. Niente colore, zero monasteri e monachelli, nessuna concessione al facile fascino dell’esotico. Il lavoro è un progetto personale sulla migrazione dei popoli, e si propone di rappresentare la migrazione in modo positivo, in quanto di norma, il termine "migrazione" è associato a sofferenza e tristezza, dimenticando che per migliaia e migliaia di anni è stata condizione normale per tutta l’umanità

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