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LA CAMERA CHIARA

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LA CAMERA CHIARA
Qualche tempo fa un fotografo, per sua ammissione alle prime armi, per spiegarmi il proprio punto di vista sul “fare fotografia” ebbe a citarmi l'immenso Roland Barthes e il famoso volumetto "La Camera Chiara". Mi fece una dotta disquisizione tra il “mi piace e non mi piace”, studium & punctum e la convinzione ferrea che il suo linguaggio fotografico avesse scientifica universalità. Ora probabilmente il nostro non aveva idea che la Camera Chiara è il testo sulla fotografia più riassunto citato, schematizzato e frainteso nel bene e nel male, e questo, di per sé, è già abbastanza ironico se si pensa all’insistenza con cui il suo autore dichiarò di volersi liberare con questo testo dall’approccio sistematico, amorfo e disincarnato, tipico del metodo scientifico. Ora io ammetto la mia ignoranza di “fotografo di provincia”: la camera chiara non è proprio un testo facile, e posso dire in tutta onestà di non averlo ancora capito a fondo dopo 40 anni di riletture! Mai lo citerei! Acquistai la prima edizione del 1980, quella con la foto di Niepce in copertina, e poi avendo prestato il volume, preso da sgomento profondo, corsi ad acquistarne una seconda copia 5 edizione 1989. Ora sono lì a portata di mano i due volumetti che, nonostante le infinite riprese, celano ancora molti segreti. Perché vi racconto questo? Per darvi un modesto consiglio: se da profani volete approcciarvi alla fotografia, che è certamente un fenomeno intimo ed inseparabile dalla sua intensità emotiva, forse varrebbe anche la pena di leggere testi più facili e che sicuramente vi daranno modo di coniugare i fondamenti emotivi con quelli del linguaggio fotografica portando il vostro fare fotografia ad un livello superiore. Ed anche di evitare di citare “ad caxxum” Roland Barthes a ogni piè sospinto. Poi se proprio volete - dovete citare l'immenso Barthes leggetevi "Frammenti di un discorso amoroso" potreste riuscire ad apprendere il lessico dell'innamorato e farne un buon uso...

Due titoli

BRIAN DILG
Perché ti piace questa foto?
La scienza della percezione applicata alla fotografia.
Gribaudo

AUGUSTO PIERONI
Leggere la fotografia.
Osservazione e analisi delle immagini fotografiche
Edizioni Edup

photo:
nella medina della città Sacra
Harar, Ethiopia 2009

LA FABBRICA DEGLI STEREOTIPI

LA FABBRICA DEGLI STEREOTIPI

L’avvento di internet e del digitale ci ha reso “tutti fotografi” ha permesso a tanti che prima di questa rivoluzione non sarebbero stati presi in considerazione, di sentirsi fotografi, autori di un numero inimmaginabile di immagini fruibili ovunque, una produzione inconsapevole e senza senso.
Si fotografa senza più studiare, c’è la proliferazione di una fotografia istintiva che è una sorta di analfabetismo diffuso. Impossibile scrivere bene se non conosci la grammatica!
Tutti convinti di essere creativi e fare foto speciali: nel web, nei social, nei contest, c’è sempre qualcuno che prende gli scatti delle sue vacanze troppo sul serio. Solo in una parte molto ridotta della fotografia che si vede oggi sul web si legge un progetto fotografico, un qualcosa che vale la pena di essere raccontato. Il più delle volte sembra di leggere soltanto una sorta di egocentrismo del fotografo: ho fatto una bella foto, quindi sono un bravo fotografo.
Ciò che manca oggi non è la tecnica, anzi di tecnica c’è né anche troppa, manca quanto fa della fotografia un sentimento, un valore, una necessità: il fatto di continuare a scattare senza farsi alcuna domanda non ha più niente a che vedere con la nascita e l’evoluzione della fotografia, quella fatta di luce, tempo, documento, racconto e volontà.
La quantità di immagini esistenti al giorno d’oggi è incalcolabile e la sua crescita, a causa della facilità con cui oggi ognuno di noi può scattare fotografie, è esponenziale: ma quante di queste immagini sono rilevanti? Poche!Una successione di scatti tutti, o quasi, concepiti e realizzati attraverso gli stessi identici stilemi, ormai diventati degli stereotipi talmente invasivi da risultare immediatamente riconoscibili e soffocanti. Colori gravidi e densissimi, forti contrasti, inquadrature fotocopia: parrebbe che la fotografia, soprattutto quella concepita per partecipare ai contest internazionali, non sia il prodotto di un pensiero, di uno sguardo, di un racconto, del desiderio di un autore di mettere a fuoco una storia e le vicende di esseri umani, ma semplicemente un’attività basata sulla elaborazione di immagini fondate su un concetto creativo performativo ed effettistico, dunque totalmente superficiale.
Il nostro immaginario è ormai saturo di inquadrature e soggetti che per questo diventano modelli per le nostre fotografie: è l’occhio che si abitua a certi tipi di composizione, e così, inconsapevolmente, produciamo immagini ripetitive, simili tra loro, immagini noiose.La verità è che parole come creatività, individualità, talento e originalità non si applicano facilmente in un mondo dove chiunque scatta fotografie. La fotografia ha un senso quando trova soggetti davvero originali, quando è la narrazione del mondo, la vera arte della fotocamera sta nello svelare qualcosa di nuovo, di personale, di rivelatorio.
Narrare rappresenta l’unico modo che l’essere umano possiede per far conoscere un accaduto e la via attraverso cui dare forma alla propria identità.
La narrazione non è mai il riportare fedele della realtà, in quanto la percezione di quest’ultima è soggetta all’interpretazione dell’osservatore. Ciò che è nella mia realtà è una selezione interpretativa della realtà. Non esiste una realtà universale ed un unico modo di percepirla; la realtà è relativa alla percezione che ognuno ha di essa e il suo significato è strettamente personale, sociale e culturale. Narrare rappresenta, quindi, un’operazione di consapevolezza in quanto equivale a costruire una propria visione di se stessi e del mondo: sono io come narratore che, nel momento in cui racconto qualcosa, opero una selezione, un’organizzazione del materiale disponibile.
La maggior parte dei fotoamatori pensa che la propria missione consista nel fotografare dei soggetti, ma quelli stanno lì, basta passare e fare clic. La fotografia è ben altro, è scoprire il lato oscuro del mondo, dare rappresentabilità alle emozioni, espandere l’immaginario e il sogno, e per far questo non occorre poi tanta tecnica, occorre soprattutto lavorare su se stessi, esercitarsi a pensare. Scegliere soggetto e momento, determinare consapevolmente l’emozione che l’immagine può trasmettere, dare significato alle cose. Questo è uno dei possibili approcci creativi alla fotografia, dell’uso di uno apparecchio fotografico che vada oltre alla piana documentazione. In questo modo la fotografia va ben oltre all’esercizio puramente tecnico, si propone come mezzo per penetrare al fondo delle cose, per enucleare quanto sfugge alla visione, per creare magiche sintesi del mondo. Per giungere a questa narrazione, processo attivo di produzione di senso, dobbiamo muoverci da quelle singole immagini che di per sé hanno memoria di suoni, voci, odori per avvicinarsi all’insieme delle fotografie, alla loro disposizione che genera racconti, nessi logici ed emotivi, ad un editing corretto sia nella scelta che nella sequenza che crea il movimento drammatico e narrativo.La morale è: se proprio volete scattare delle grandiose foto, non andate in crociera. Andate piuttosto in zone di guerra, o nell’appartamento dei vostri genitori.

Le fotografie:
Learning From the Nomads
Ladakh – India
© Ronald Patrick
Queste immagini si impongono subito per il loro essere “diverse” in quanto molto lontane da ciò che lo stereotipo turistico del Ladakh di norma propone. Niente colore, zero monasteri e monachelli, nessuna concessione al facile fascino dell’esotico. Il lavoro è un progetto personale sulla migrazione dei popoli, e si propone di rappresentare la migrazione in modo positivo, in quanto di norma, il termine "migrazione" è associato a sofferenza e tristezza, dimenticando che per migliaia e migliaia di anni è stata condizione normale per tutta l’umanità

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COSA E COME FOTOGRAFARE

COSA E COME FOTOGRAFARE
Ovvero prima dell'attrezzatura idee ed esperienze di vita


Con la fotografia si può raccontare il mondo: la gioia ed il dolore, la guerra e una nuova vita, il primo uomo sulla luna, i grandi eventi per l’umanità, carestie e siccità, culture e religioni diverse. Il mondo può essere quello lontano sepolto sotto la valanga verde di una foresta pluviale, quello della caotica metropoli dove vivono decine di milioni di abitanti, la savana rovente dove l’antenato dell’uomo ha mosso i primi passi migliaia di anni fa. Può essere altro ancora, niente di esotico, il mondo può essere semplicemente la piazza dietro casa, in una tranquilla periferia cittadina. Vecchi muri scrostati e cartelli d’alluminio, l’ombra di alberi cresciuti a stento, insegne al neon e gli amici di sempre. Un’ultima opzione, una riflessione: il mondo raccontato può essere quello interiore. Senza alcun dubbio la categoria dell'esotico è quella più frequentata dai fotografi, professionisti o no, ed altrettanto vero è che la fotografia di viaggio si muove quasi sempre sul limite dello sconfinamento nell'esotico a tutti i costi. Troppo spesso il visibile viene così confuso con lo “spettacolare” che raramente rappresenta il vero. Più difficile invece credere, capire, che è la percezione dell’invisibile, l’operazione creativa ed artistica di rendere tangibile - sonoro - raccontabile - visibile l’invisibile, che crea la buona fotografia, anche quella di viaggio. Le innumerevoli fotografie, quelle proposte dai media o anche solo quelle di un ndimenticabile viaggio nel luogo esotico, oscillano sempre tra realtà e rappresentazione, tra documentazione ed interpretazione. Un’importante distinzione, subito necessaria, è quella tra le belle fotografie e le buone fotografie. Uno degli scopi di chi osserva il mondo anche attraverso l’oculare della macchina fotografica, dovrebbe essere quello di cercare le buone fotografie, quelle che raccontano andando oltre la mera soddisfazione estetica. E’ in queste fotografie, le buone, che si manifesta una dimensione privata dello scatto, una cristallizzazione dei sentimenti in cui autore e osservatore si riconoscono. E’ in queste che la fotografia chiarisce il suo rapporto con il reale, svincolandosi da esso per divenire spazio mentale, immaginario, lirico e visionario. Il fotografo, oltre ai suoi apparati meccanici, alle varie e possibili scelte operabili con la determinazione di un preciso obiettivo, di una pellicola o di un accessorio, innanzitutto antepone alla sua vista le lenti colorate del suo cervello. E’ sicuramente un punto di vista accettabile anche quello di chi ha sostenuto, in nome di un realismo quasi scientifico, che il fotografo deve scattare asetticamente come se non esistesse. Davanti al suo soggetto però il fotografo si trova sempre a dover scegliere tra infinite possibilità: scegliere in armonia con il suo mondo interiore, quell’attimo, non prima, non dopo, che potrà dare la misura della sua visione. Quindi il realismo in fotografia è pur sempre creazione e non piatta riproduzione della realtà, creazione che non indulge nell’autobiografia, nell’accademismo, nel lirismo. Ogni fotografo si esprime a suo modo, basterà variare l’inquadratura, lunghezza focale dell’obiettivo, l’ora di ripresa, emulsioni, filtro, messa a fuoco, esposizione. Per mezzo della tecnica si manifesta un suo stato d’animo scaturito dall’incontro con il soggetto. La fotografia è un linguaggio, un sistema di comunicazione, ma a differenza della scrittura scavalca le barriere linguistiche e a volte anche quelle culturali. Se si afferma che l’arte è la firma dell’uomo, uno stile artistico è la firma di un determinato uomo e una finestra sull’epoca in cui egli là creato. Questo "stile" è determinato essenzialmente dalla personalità di chi lo esprime, in cui si riassumono i dati dell’esperienze di vita, la disponibilità di determinate attrezzature, le conoscenze, il carattere, le idee e le convinzioni di ciascuno. In questo senso, lo stile caratterizza e personalizza il lavoro di un uomo in modo che esso giunge a differenziarsi da ogni altro. Esso però, soprattutto in fotografia, rappresenta un problema notevole: il fatto di ottenere delle immagini mediante un procedimento meccanico comporta una estrema difficoltà a imprimere in esse qualcosa che indichi chiaramente il suo autore. Tuttavia diversi elementi concorrono a facilitare uno stile personale. In primo luogo la storia di ciascuno, con la sua formazione culturale, il suo patrimonio di conoscenze, la sua sensibilità e la sua personalità: questi fattori determinano una “visione del mondo” che conduce in una direzione piuttosto che in un’altra, che lo porta a vedere in un determinato modo e a “sentire” secondo la propria disponibilità. In secondo luogo il presente storico, cioè il momento politico sociale culturale che vissuto con maggiore o minore adesione e spirito critico, determina l’ambiente entro cui nasce e si sviluppa una determinata idea. In questo senso l’approccio ad un soggetto è sempre estremamente personale: si tratta di vedere, all’interno dello strumento di comunicazione, quali momenti servono per tradurre un modo di vedere personale in un modo di esprimersi altrettanto personale. Il modo con cui ci si pone culturalmente di fronte al soggetto, la composizione che delimita, sottolinea enfatizza. La presenza di “second stories” nel fotogramma invece di delimitare rigorosamente il soggetto, l'uso della messa a fuoco "iperfocale o selettiva". E ancora l'uso di ottiche che rendono prospettive estreme, la qualità della postproduzione, immagini morbide piuttosto che dure, la stampa dell’intero fotogramma, tutto questo e tanto d'altro, significa operare delle scelte consone al proprio modo di vedere le cose. E ogni scelta determina delle costanti caratteristiche che possono servire a costituire uno stile, valido sempre, al di là del “genere fotografico”. Detto questo resta un punto centrale, che poi è quello meno considerato dalla massa di chi fotografa: l’idea, il progetto, deve guidare alle scelte tecniche. Eppure, cosa capita? Tanti partono per il "viaggio", quello atteso per una vita, con un misero bagaglio di nozioni su luoghi e popoli che si incontreranno, senza alcuna idea di ciò che vedranno, per giorni e giorni a “caccia “ di soggetti, fotografie di centinaia di singoli momenti, di particolari a prima vista interessanti. Poi tornati a casa si accorgono che c'era molto d'altro, qualcosa che si poteva raccontare. Tutto questo significa anteporre il fare all’idea. Ovviamente, lo stesso fotografo si meraviglia se gli eventuali spettatori non riescono a capire quello che voleva dire. Non bisogna dimenticare che prima si fotografa con la mente. La fotografia può così diventare una verifica di quanto si è sognato, con una serie di chiavi di interpretazioni della realtà. Ma le idee purtroppo non si comprano nei negozi di ottica come gli obiettivi ultraluminosi o i sensori ultrasensili. Occorre cercarsele, con fasi di studio, di riflessione, di approfondimento, da condurre con la lettura, la discussione, il confronto, l’analisi. Faticoso ma tutto ciò rappresenta la base imprescindibile per la riuscita di un discorso. Solo dopo aver studiato a fondo il proprio soggetto, dopo aver chiarito l’idea guida che deve giustificare un certo approccio, dopo esserci lungamente confrontati con essa, dopo aver vissuto, solo dopo questo sarà possibile iniziare a costruire una impalcatura sufficientemente organica che giustifichi il fare. Occorre avere delle idee, dicevo, possibilmente molte. Ma spesso troppe idee rischiano di rivelarsi contrastanti e di creare confusione: occorre dunque scegliere quelle che meglio si adattano allo scopo che si vuole ottenere. Come fare? Evidentemente ciascuno avrà definito un proprio modo di operare. Volendo realizzare un reportage da terre lontane, dove è difficile ritornare, sarà comunque indispensabile fotografare sapendo distinguere soggetti e avvenimenti principali rispetto a quelli accessori, sviluppando a pieno i principali e gli altri come corollario informativo, pronti comunque a cogliere al volo tutte le situazioni che la sorte riserva. Ci sono incontri, visioni, che si possono raccontare con una fotografia e altre che ne richiedono 30. E’ indispensabile prima di mettersi a fotografare, predisporsi uno schema, uno storyboard nel quale ogni idea e ogni momento ha la sua giusta collocazione, dimensione e opportunità. Ordine, proporzione, armonia, nesso logico, unità, chiarezza, concisione, eleganza, sono ingredienti della comunicazione, come le sette note musicali, gli accidenti, le chiavi sono gli ingredienti della musica. E se nella qualità estetica di una fotografia c’è anche l’intensità di uno stile, è vero anche che un rifiuto cosciente dello stile può diventare qualità estetica. Comunque resta il fatto che lo stile ha la sua parte, ma non porta a nessuna conclusione a priori. Alla fine, sarà la somma degli ingredienti opportunamente trattati dal fotografo a determinare il carattere della sua comunicazione. Un processo del genere è implicito, è un’abitudine acquisita, cosciente e soprattutto costante. Si può anche aggiungere che ogni scatto deve avere una giustificazione e deve esprimere qualcosa in modo chiaro, comprensibile a tutti. Occorre che l’immagine proposta sia universalmente comprensibile entro l’ambito della cultura in cui ci si colloca evitando artifici che tendono a porsi al di fuori di un linguaggio universale. L’uso dei mezzi espressivi dovrebbe essere finalizzato alla massima efficacia nei confronti della tipologia di spettatore a cui ci si vuole comunicare. Forme, masse, chiaroscuri, colori, linee, luci ed ombre, toni devono essere armonizzati sia nell’ambito del servizio che in consonanza con il tema affrontato. Oltre tutto ciò importante è la concisione che richiede una fotografia senza fronzoli, la sincerità che è la diretta corrispondenza tra l’animo di chi fotografa e l’idea espressa, l’eleganza che è fatta soprattutto di discrezione, di semplicità, di adesione al tema affrontato, di naturalezza anche di fronte ad interventi operativi ardui. Volendo raccontare un lontano paese si dovrebbe pensare e vedere il territorio naturale, quello industriale, la campagna e i paesi, architetture, centri storici e monumenti, i luoghi della memoria, i luoghi della storia. Tutto questo costituisce la natura fisica delle cose, il prodotto dell’attività umana. Tutto ciò che crediamo per abitudine come realtà è un pretesto per dare visibilità attraverso la fotografia al nostro potere di immaginazione. L’immagine di un vetro rotto fa pensare allo sfacelo di un intero quartiere. Basta poco. La fotografia ricostruisce il visibile solo se noi ne siamo capaci e questo senza regole, se non quelle derivanti dal coinvolgimento con persone e cose. Per dare voce a tutto quanto ci attrae, per trasformarlo in soggetto è necessaria la consapevolezza dello sguardo, la cultura della memoria.

Coscienti, finalmente, che la bellezza, anche quella straordinaria e inquietante, delle cose che ci conquistano e ci commuovono, è sempre, esclusivamente, la proiezione metafisica di quel "bello" misterioso, unico ed irripetibile che, se esiste, abita da sempre dentro di noi.


Se ti è piaciuto scrivimi, per saperne di più spensotti@alice.it

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FOTOGRAFIA E VIAGGIO

FOTOGRAFIA E VIAGGIO

In ogni viaggio, piccolo o grande che sia, verso luoghi esotici od altri che ci sono più familiari, è racchiusa la preziosa occasione di godere di paesaggi naturali che si dischiudono dinnanzi a noi giorno dopo giorno, c’è la possibilità di conoscere le popolazioni incontrate durante il nostro andare, l’incontro con la loro cultura, si cela l’inebriante esperienza sensoriale di navigare tra colori e musiche, odori e sapori che giorno dopo giorno ci affascinano e diventano familiari. La fotografia ed il viaggio sono un binomio inscindibile, ma il racconto di un’esperienza di viaggio attraverso le immagini fotografiche non si esaurisce nella semplice scelta della tecnica da usare, dell’inquadratura, della luce o dell’obiettivo adatti, ma nell’esprimere di volta in volta un personale modo di vedere il mondo, un particolare stile attraverso il quale il fotografo rappresenta l’esperienza vissuta. Partecipare ad un workshop fotografico o ad un viaggio fotografico è un' esperienza molto stimolante, che permette di confrontarsi con altri fotografi e viaggiatori, un’esperienza indicata sia per fotografi principianti che per esperti, che abbiano il desiderio di condividere con altri passioni e conoscenze, di confrontarsi ed approfondire le proprie conoscenze ed apprenderne di nuove. Un’esperienza che regala il privilegio di fotografare in luoghi di assoluto interesse, di sviluppare ed affinare le proprie capacità visive e creative, di confrontare le proprie scelte visive con quelle degli altri.

© photo: Milena Cocco, Sonia Maggioni, Ivonne Cherubini, Luciano Caleffi, Roberto Leoni, Marco Carnovale, Antonio Porcelli, Olga Prokofjeva.

Se ti è piaciuto scrivimi, per saperne di più spensotti@alice.it

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